A cosa serve un traduttore? Questa figura strana, che se ne sta rintanata in casa, davanti a uno schermo fosforescente, sommersa da dizionari di ogni tipo, per traghettare un testo da una lingua all’altra, e che una volta trascorreva ore, giorni, forse settimane chiuso in biblioteca, alla ricerca di un’informazione, di un dettaglio, di una conferma?
Con l’avvento di internet, alcuni pensano che non serva più a molto. Che non sia più necessario, o quasi, servirsi di un traduttore professionista, competente e dotato di sensibilità per la lingua e per l’argomento di cui parla il testo. Dopotutto, non hanno forse inventato i traduttori automatici?
Sì, certo, li hanno inventati. Ma da questo a dire che siano affidabili…
Da tempo si parla di Google Translator come di una specie di barzelletta. Mi capita spesso di leggere recensioni in cui ci si domanda, retoricamente, se il libro sia stato tradotto con Google Translator. E non in senso positivo. Perché la traduzione è così pessima da escludere una qualsiasi competenza da parte di chi l’ha effettuata.
E tuttavia, sono tante le persone che si affidano a questo servizio, vuoi per pigrizia, vuoi perché non ritengono necessario rivolgersi a qualcuno di più preparato, vuoi perché la traduzione costa e invece viviamo ancora in un paese in cui remunerare gli sforzi creativi ha un che di volgare, vile (per il remunerante, non il remunerato) e dove dovrebbero bastare orgoglio e soddisfazione a riempire la pancia.
Perciò, tutti a buttarsi su Google, che innanzitutto non protesta per i termini di consegna impossibili, fa il suo lavoro senza aprire bocca e, soprattutto, non costa niente.
Ma cosa succede quando ci si affida a questo famigerato programma di traduzione automatico?
Curiosa, ho deciso di fare un esperimento su un mio testo.
E guardate un po’ cos’è successo.
Cominciamo con l’incipit del mio primo romanzo, Ballando con il fuoco:
E adesso paragoniamo due traduzioni, una professionale e una realizzata dal nostro amico Google.
Cominciamo con la traduzione di Catherine Bolton, amica e collega, e subito dopo quella di Mr Google!
Vi risparmio l’esito dell’esperimento di far ritradurre in italiano a Google la sua stessa traduzione inglese. Del mio incipit non era rimasto più quasi niente.
Ma esaminiamo un po’ cos’è successo in queste poche righe. La prima impressione è quella di una traduzione neanche tanto male, no? Soprattutto all’inizio. Ma poi Google sembra perdere di vista sempre di più il senso di quello che sta traducendo. Invece di cogliere il significato delle parole singole (spesso neanche quello) e quello generale del paragrafo, Google sembra perdersi e accumulare svarioni, uno dopo l’altro.
Vediamo un po’:
1) Cos’è il bodice satin turquoise? Che cosa non ha riconosciuto nella sequenza corpetto di raso turchese?
2) Google non sa cos’è un tendone? Forse Google ha bisogno di più informazioni per capire dove siamo? Un traduttore professionista no. Ma Google decide di tradurre tendone con tent (e lasciamo perdere l’inversione mancata con l’aggettivo, che francamente mi lascia parecchio basita)
3) E i local customers chi sarebbero? I clienti locali? Accidenti, e io che pensavo di aver scritto i clienti DEL locale…
4) Stendiamo un velo pietoso su quel Who would you be today?, che invece la traduttrice professionista ha tradotto con un perfetto So who are you supposed to be today?. E stendiamone uno ancora più grande su tutto lo scambio che segue. Non saprei nemmeno io da dove cominciare a segnalare gli errori.
5) E che dire del fatto che a un certo punto i personaggi diventano UOMINI???? Perché? Insomma, cosa è saltato in mente a Google di cominciare a usare HE/HIS ecc? Per lui Arianna e Christine non erano nomi sufficientemente femminili? O forse pensa che Arianna e Christine siano due drag queen che parlano di chiappe e capezzoli?
Ok, il concetto è chiaro. Google Translator è un programmino che funziona bene per tradurre frasi brevi. Semplici. Non testi lunghi e complessi, magari con un vocabolario ricco.
Non va disprezzato, perché, parafrasando Jessica Rabbit, non è colpa sua, lo hanno creato così.
Ma noi, che vogliamo far tradurre qualcosa che abbiamo scritto, qualcosa su cui abbiamo lavorato duramente e a cui teniamo, rivolgiamoci a traduttori “umani”. Perché mai come in questo caso “umano” non è sinonimo di fallacità ma di cura, precisione, sensibilità, intelligenza linguistica e correttezza.
E voi, che altri errori trovate nella traduzione di Google del mio incipit? Divertitevi a cercarli!