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Le presentazioni dei libri: la teoria dello yogurt e del melone thailandese

Edy Tassi | 30 Gennaio 2017 |

Presentazioni dal vivo, gioie e dolori?
Ammetto che il mio immaginario si è formato (in parte) con la visione de La signora in giallo, dove Jessica Fletcher, che scriveva ben poco e quasi sempre solo durante la sigla, nelle varie, innumerevoli puntate passava il suo tempo risolvendo casi di omicidio tra la presentazione di un libro e l’altra. Ora volava di qui, ora di là, sempre con lettori e lettrici entusiasti pronti ad avvicinarla per un autografo, che lei concedeva con un sorriso benevolo.
E proprio in quel telefilm ho sentito parlare per la prima volta di tour promozionali. In sostanza, all’uscita di ogni libro Jessica Fletcher partiva per metropoli, città e paesi per far conoscere la sua nuova fatica letteraria, accolta sempre con onori e applausi.
Questa la finzione televisiva o, forse, la realtà anglosassone.
Da noi?
Credo che le presentazioni si dividano in due categorie. Quelle degli scrittori e dei personaggi famosi che hanno scritto (o si sono fatti scrivere) un libro. Quelle degli scrittori che hanno scritto un libro ma non sono, non ancora, famosi.
Nelle prime, ovvio, l’affluenza è copiosa. E i motivi possono essere molteplici. Intanto, la persona famosa attira di per sé. Attori, calciatori, comici, scrittori maledetti o perseguitati e star dei social attirerebbero anche solo stando in piedi in una vetrina antisfondamento. Figurarsi con la possibilità di sentirli parlare, di avvicinarli per una foto e un autografo. Ecco allora materializzarsi folle più o meno eccitate di fan, tutte/tutti con il libro già in mano, così, sulla fiducia, per simpatia, per stima o magari per via degli ormoni impazziti.
Ricordo la coda al Salone del Libro: centinaia di persone in fila per ore per una firma e due chiacchiere con Saviano. La Feltrinelli straripante per il romanzo rosa di Gianpaolo Morelli. Il parapiglia per accedere alla presentazione del libro di Marco Bocci nella Mondadori del Duomo a Milano. Giusto per fare qualche nome famoso sia di scrittori-scrittori, sia di altro-scrittori.
In questi casi nessuna incognita, ovvio. Tutti sanno che la presentazione sarà un successo e che, casomai, il problema sarà gestire l’affluenza.
Ma per quanto riguarda l’altra categoria, quella degli autori emergenti, sconosciuti, semi sconosciuti o conosciuti solo virtualmente, la questione si fa più incerta.
A chi mi domanda se fare presentazioni oggi, al tempo di Facebook, Twitter, Instagram ecc, serve ancora, mi piacerebbe poter rispondere con un entusiastico sì. La verità invece è che non lo so. La sensazione è che non ci sia una regola. Anzi, forse l’unica regola che vale è che a te, autore, piaccia farne a prescindere dall’esito. Perché quello è sempre molto aleatorio.
Non parlo ovviamente delle presentazioni nel luogo di nascita, che pure rischiano di rivelarsi insidiose, nel caso il detto nemo propheta in patria decidesse di dimostrare la propria proverbiale veridicità proprio in quell’occasione. Ma diciamocelo, se si può contare su una famiglia media e se non si è esseri umani totalmente sgradevoli o sociopatici, qualche parente e qualche amico lo si raduna anche in caso di pioggia torrenziale, canicola, neve, scioperi e pestilenze (tutto verificato di persona).
Quindi la presentazione a KM 0 di solito è un successo.
Più ci si allontana da casa, però, più le incognite aumentano. Tanto che può capitare di presentare il proprio libro, ahimè, davanti a una platea di sedie, o in situazioni nelle quali il numero dei relatori è superiore al numero di presenze nel pubblico.
Fondamentale, in base alla mia esperienza, è che quando ci si allontana da casa la presentazione abbia un referente di fiducia. Qualcuno che si fa carico di accoglierti nel vero senso della parola. Qualcuno che smuova conoscenze, amicizie, e parenti, per farti trovare una sala dignitosa, se non addirittura affollata. Qualcuno che sappia creare aspettativa, entusiasmare. Qualcuno che non si limiti solo a metterti a disposizione quattro muri e due sedie, ma che vada a cercare le persone giuste che potrebbero essere interessate a te.
Tanto più che organizzare eventi su FB non offre mai molte garanzie. Di per sé l’evento sarebbe un modo comodo per capire che tipo di affluenza aspettarsi, salvo che ormai “Ignora” non lo clicca quasi più nessuno perché viene considerato un po’ rude e comunque, basta ignorare di fatto. “Mi interessa” è il nuovo No e “Parteciperò” è il nuovo Forse. Perciò siamo punto e a capo.
Come mai?
Ho cercato di darmi delle risposte, anche se non so se sono quelle giuste.
La prima sensazione è che in certi casi, noi autori ci consideriamo più interessanti di quanto siamo in realtà. E ho battezzato questa ipotesi come la Teoria dello yogurt.
Intanto, ormai le librerie sono affollate di libri come i banchi frigo sono affollati di marche di yogurt e quindi è già un miracolo se un lettore allunga la mano proprio per afferrare il tuo (e a ben pensarci la shelf life dei libri e degli yogurt comincia a essere sempre più simile). Ma per quanto riguarda le presentazioni, la similitudine è un’altra. Quando compriamo uno yogurt, scegliamo la marca che ci piace perché ci offre garanzie di qualità, scegliamo il gusto che ci piace, lo mangiamo con piacere, magari lo consigliamo alle amiche, ma raramente ci interessa sapere chi lo ha confezionato, come si chiama la persona che controlla la produzione, cosa fa durante il tempo libero e come gli è venuta l’idea di creare il gusto radicchio liquirizia. Vero? Compriamo lo yogurt, lo mangiamo ed è finita lì.
In certi casi ho l’impressione che valga lo stesso per i libri. Sono un prodotto. Che si sceglie, si paga, si consuma. Punto. Non sempre scatta il desiderio di scoprire di più, di sapere se l’autore ha partorito l’idea fermo a un semaforo o mentre gli trapanavano un dente del giudizio.
La seconda sensazione riguarda i social. Un cantante, tempo fa, alla mia domanda su come erano cambiate le fan, mi disse che con l’avvento dei social si erano fatte virtualmente più disinibite, ma di persona si facevano prendere dalla timidezza. E lo diceva con un filo di rimpianto, magari pensando ai bei tempi in cui, per esempio, le fan si arrampicavano lungo le grondaie per arrivare alla stanza dei Duran Duran a Sanremo. Perciò forse lo stesso vale anche per gli scrittori. Sui social i contatti sono più immediati, privi di filtri e di soggezione, ma poi, il pensiero di incontrare una persona dal vivo frena, inibisce. Vallo a sapere.
O magari è tutto un problema di accessibilità. Quella che, scomodando un altro alimento, io chiamo la Teoria del melone thailandese.
Lo avvertite anche voi, vero, il fascino del melone thailandese? Basta quell’acca tra la t e la a per renderlo più buono e saporito. Se vi dicessero che avete l’esclusiva occasione di provare dal vivo la dolcezza di un melone thailandese, proprio lì, nel vostro supermercato di fiducia, non correreste? Almeno per vedere che aspetto ha dal vivo? Scommetto di sì (come scommetto che siete subito corsi a vedere se esiste davvero e com’è. Avanti dite la verità!). Perché non capita tutti i giorni di imbattersi in un melone thailandese.
Mentre invece, i nostri meloni italiani sono sempre lì, più o meno disponibili otto mesi su dodici. Buoni, ma, appunto, sempre accessibili. Un po’ come noi autori, che con FB siamo sempre a portata di mano. Per questo, quando arriva uno scrittore straniero ecco addensarsi le folle oceaniche, mentre quando arriva uno scrittore italiano, a meno che non rientri in una delle categorie sopracitate, il pubblico si fa più sparuto, più latitante. Perché, forse, sa già tutto, ci vive quotidianamente.
Dove starà la verità? Nella teoria dello yogurt? In quella del melone thailandese?
Non lo so. Quello che so è che a me, come lettrice, le presentazioni piacciono. Cerco di partecipare il più possibile quando so che ne viene organizzata una di un certo autore, anche se per esempio devo guidare un’ora per arrivarci. E come autrice mi piacciono ancora di più. Mi piace quando ho davanti persone dall’aria interessata, poche o tante che siano, mi piace cercare di convincere la gente a comprare il mio libro e confrontarmi con chi lo ha già letto. Cerco di tenere a freno l’ansia da sala vuota e di dare il meglio a chi ha deciso di dedicarmi il suo tempo.
E voi? Cosa ne pensate? Le presentazioni servono? Avete altre teorie sull’argomento?

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Comments

  1. Roberta Marasco says

    30 Gennaio 2017 at 18:01

    Bravissima Edy, sono completamente d’accordo!

    Rispondi
    • Edy Tassi says

      30 Gennaio 2017 at 18:07

      Grazie, Roberta. Era da un po’ che mi frullava in testa questo post. Sono contenta che tu lo condivida.

      Rispondi
  2. Luca says

    19 Febbraio 2017 at 22:01

    Completamente d’accordo, ma non è forse questo lo specchio di mille situazioni che prendono vita in ambito artistico? Da musicista, ho vissuto l’esperienza straordinaria di suonare di fronte a centinaia, a volte migliaia di persone, magari fra le quali figuravano 50 o 60 amici e conoscenti entusiasti dello spettacolo e della location, così come quella, diciamolo, depressiva e deprimente, di trovarsi, per mille motivi, a dedicare le proprie note a un paio di coppiette annoiate.
    Ma non è forse un rischio che dobbiamo correre?
    Non è forse vero che anche un solo lettore appassionato di ciò che noi siamo stati capaci di creare, vale il dispendio di energie e il richiamo a ogni atomo della nostra forza di volontà, necessaria se vogliamo mostrare la motivazione e l’entusiasmo che un autore dovrebbe sempre saper esibire nei confronti della propria opera?

    http://www.newyork1941.com

    Rispondi
    • Edy Tassi says

      20 Febbraio 2017 at 8:50

      Ciao Luca, grazie del tuo messaggio.
      Hai ragione, quando dici che il mio discorso si applica a tutti gli ambiti artistici. Una volta una mia amica ha proprio detto: a tutti i musicisti è capitato di esibirsi in una sala vuota. Perciò può capitare anche a chi recita, a chi presenta un libro… Devo ammettere però che se al momento non è affatto piacevole, però poi può succedere che con i pochi presenti si instauri un legame molto forte. Diventa una bellissima chiacchierata. Che di sicuro, come dici tu, vale il dispendio di energie.

      Rispondi
  3. anna says

    30 Giugno 2017 at 15:22

    Buongiorno. A volte presento autori sconosciuti e, raramente, mediamente conosciuti. Soffro ogni volta, pur facendolo assolutamente gratis et amore Dei, quando vedo le sedie vuote o mi rendo conto che, soprattutto per gli sconosciuti, oltre il figlio, la nonna, la vicina di casa o colleghi costretti etc. vero pubblico manca Non parliamo poi delle domande dei “lettori”. A volte dire che sono di una banalità imbarazzante è un eufemismo. Il fatto è che oggi TUTTI, ma TUTTI scrivono e le librerie sono diventate supermercati rionali mentre le presentazioni cartacee preannunciano sempre capolavori inesistenti. Rimedio? Grandissima scrematura a favore degli alberi (Murgia docet). Il problema è: Quis custodet custodes? A chi affidiamo la scrematura?? FAVORE: mi date il nome o la mail di un refernte della Mondadori per la presentazione di un libro di autore italiano? Grazie

    Rispondi
    • Edy Tassi says

      3 Luglio 2017 at 12:35

      Gentile Anna, grazie del suo commento. La strada degli autori in Italia è spesso misteriosa e imperscrutabile, ha ragione. Per la sua richiesta, mi spiace ma non collaboro con Mondadori, ma considerando la dimensione della CE, immagino che valutino autori presentati prevalentemente da agenzie letterarie o comunque attraverso canali ufficiali simili. Non mi è parso di vedere nel loro sito indicazioni per sottoporre direttamente inediti.

      Rispondi

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"Mr X scese dal taxi e percorse i pochi metri che "Mr X scese dal taxi e percorse i pochi metri che lo separavano dalle porte girevoli dell'edificio..."
Bene, e chissenefrega?
I romanzi raccontano storie che devono essere il più possibile verosimili, nel senso di credibili. Ciò che viene raccontato può essere fantasioso, fantascientifico, il frutto di una creatività sfrenata, ma i lettori devono continuare a pensare che quello che viene raccontato potrebbe davvero accadere, se non in questa realtà, in una realtà parallela.
Così a volte accade che per rendere verosimile una storia, pensiamo di dover raccontare per filo e per segno ciò che avviene nella realtà, fin nei dettagli più noiosi, tipo Mr X che cammina per raggiungere la porta del condominio.
Invece non è così. In una storia dobbiamo raccontare quelli che potremmo considerare gli "highlights", solo ciò che conta, tralasciando appunto le scene in cui non succede niente ma i personaggi entrano ed escono da una stanza, scendono da una macchina per andare in un luogo qualsiasi, si spostano da qui a lì e di fatto, l'unica cosa che succede è che si consumano le scarpe.
📖📖📖
Conoscevi questa espressione? O ti vengono in mente scene di questo tipo?
📖📖📖
Ovviamente poi ci sono le eccezioni. Chi non ricorda la scena in cui Miranda Priestly arriva la prima volta in readazione? Ma lì tutto, dalle scarpe che scendono dal taxi, le riviste e la borsa sotto il braccio e l'andatura fanno da contrappunto al delirio che si sta scatenando negli uffici ed è tutt'altro che una scena inutile!

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"Dovremmo considerare persi i giorni in cui non ab "Dovremmo considerare persi i giorni in cui non abbiamo ballato almeno una volta" Nietzsche

Il 29 aprile si festeggia la Giornata Internazionale della Danza.
Se anche tu ami questa disciplina, hai già letto i miei romanzi in cui è proprio la protagonista?
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Eccole qui:
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📖 Paola Chiozza: una chick-lit scritta benissimo, divertente, avvincente e chi più ne ha, ne metta. Mi è piaciuta la trama, l'ambientazione per me del tutto nuova, i dialoghi brillanti, la credibilità con cui Paola parla di astrofisica. Super super consigliato.
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📖 Paola Servente: una commedia, anche questa. Carina, leggera, per me un filo troppo scarna nelle descrizioni e nelle atmosfere, ma l'ho letta volentieri. Cardiochirurgo contro cardiochirurgo.

Li hai già letti? Ce n'è uno di cui vorresti scorprire qualcosa di più?

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Conosci l'autrice di PS: I love you? Cecelia Ahern Conosci l'autrice di PS: I love you?
Cecelia Ahern è una delle mie autrici preferite e in occasione della festa di San Patrizio ti ho proposto una serie di storie dedicate ai suoi romanzi (le trovi in evidenza sotto "reading tips").
Oggi ho pensato di proporti la sua writing routine.
Una delle cose più interessanti, secondo me, oltre al fatto che inizia a scrivere ogni suo romanzo a gennaio (e ne scrive uno all'anno), è che per ogni romanzo scrive quattro stesure. La prima, la cosiddetta "zero draft" è quella che scrive di slancio, solo per se stessa. E' una stesura veloce e approssimativa. Poi c'è la seconda stesura, che riempie i vuoti lasciati nella prima. A questo punto invia la stesura all'editore, che suggerisce miglioramenti e modifiche, dai quali nasce la terza stesura e infine c'è la quarta stesura, quella definitiva.
Io ho calcolato che più o meno i conti tornano anche per me. Anche se, per esempio, Non c'è gusto senza te ha avuto praticamente due stesure sole. Ma è stata un'eccezione.

Tu conosci Cecelia? Quale delle sue abitudini di scrittura ti ha incuriosita di più?

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"La Ducati Diavel rombava fra le sue gambe. Marco "La Ducati Diavel rombava fra le sue gambe.
Marco mise la freccia all’ultimo minuto e si infilò bruscamente nel parcheggio di Villa Olmo. Zigzagando fra le macchine che facevano manovra, raggiunse il cancello della villa e, dopo aver dato gas con rabbia un’ultima volta, spense il motore. Si sfilò gli occhiali, tolse il casco e venne investito di colpo dall’aria fresca che saliva dal lago. Abbassò il cavalletto e smontò. Poi si diresse a passo di marcia verso il piazzale ricoperto di ghiaia che si allargava davanti alla villa.
C’erano grandi piante frondose e profumate, bordure fiorite che lui notò a stento. Individuò la prima panchina libera e si lasciò cadere con un grugnito scontroso, dando le spalle all’elegante costruzione neoclassica.
Perché te la prendi tanto?, si domandò, allungando le gambe e incrociando le braccia. Le cose stavano andando esattamente come si aspettava, no? Avrebbe dovuto essere contento di aver previsto tutto. Suo padre che lo chiamava per chiedergli consiglio, suo zio che lo tormentava con il suo sarcasmo. La riluttanza di entrambi a dargli ascolto.
La cosa veramente sorprendente era il fatto che lui avesse accettato di tornare e di prestarsi a quella pantomima." 

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"Amore è quando continuo a rivivere nella testa l "Amore è quando continuo a rivivere nella testa le cose che abbiamo fatto insieme. Quando non posso fare a meno di programmarne altre, anche se non so se le realizzeremo mai. Quando di colpo ho come la sensazione che mi manchi qualcosa, in qualsiasi momento della giornata. Sono sempre bastato a me stesso, ma dal momento in cui ti ho conosciuta la vita che mi ero costruito attorno sembra essersi di colpo dilatata e aver lasciato un sacco di spazio vuoto da riempire."

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"Cara Gloria, come vedi, sono al corrente della tu "Cara Gloria,
come vedi, sono al corrente della tua esistenza. E ti domanderai perché non ti ho mai cercata. Forse avrei dovuto farlo quando potevo. Ma certe volte le occasioni perse non tornano.
Non so dove sei e non so cosa fai, se però hai tra le mani questa lettera è perché per qualche motivo sei arrivata a Como.
Chissà cosa ti avranno raccontato di me tua madre e tuo padre o le altre persone che mi conoscevano. Angela di sicuro ti avrà detto che ero un vecchio testardo. E se lo dice lei, è vero. Ma ora mi rimane poco tempo per continuare a esserlo.
Tua madre ha deciso di voltare le spalle a quello che le offrivo e tutto ciò che avrebbe potuto essere suo diventerà di qualcun altro se tu non tornerai a reclamare la tua eredità. Ma c’è qualcosa che desidero sia tuo e che voglio comunque mettere da parte per te.
La villa, l’azienda, i conti correnti sono tutte cose importanti, a cui ho dedicato la mia vita. Forse anche sbagliando. Ma c’è qualcosa di più.
Nella villa ho nascosto il mio tesoro più prezioso e che voglio arrivi comunque a te.
Nessuno sa cosa sia o dove sia, quindi è inutile che chiedi. Devi cercarlo tu. Trovalo e sarà tuo.
In caso contrario, rimarrà dov’è ora. Anche per sempre.
Giovanni"

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Sei una che preferisce stare dentro la palla di ve Sei una che preferisce stare dentro la palla di vetro o fuori?
✨✨✨
Una domanda strana, lo so. Ma di recente ho letto un libro dedicato al blocco dello scrittore, nel quale l'autrice, Becca Syme, si pone proprio questo interrogativo.
Ci sono autrici che hanno bisogno di essere dentro la palla di vetro, cioè dentro la storia, e sperimentarla dall'interno, per poterla scrivere. Altre invece hanno bisogno di vederla nel loro complesso da fuori, da una certa distanza. 
Questo mi ha ispirata a scrivere l'ultimo post, che trovi nel link in bio,  dedicato a un fraintendimento in cui spesso cadiamo tutte. Cioè credere che per diventare scrittrici migliori, dobbiamo diventare scrittrici diverse. Tipo decidere che per migliorare devi diventare una plotter (cioè qualcuno che prima fa tutta la scaletta della storia) se sei una pantser (cioè qualcuno che scopre la storia man mano che la scrive).
🎇🎇🎇
In realtà non è così. Perché per migliorare spesso ha più senso lavorare su ciò che si è, piuttosto che su ciò che non si è, e provare ad avvicinare a sé ciò che ci è lontano, senza cercare di stravolgere tutto. Per esempio, potrebbe essere interessante provare a progettare i personaggi e lasciare che siano poi loro a raccontare la storia, avvicinando a te una tecnica da plotter e adattandola al tuo essere pantser.
💕💕💕
Cosa ne pensi?
In che modo tu hai provato a "migliorarti" lavorando in una direzione opposta a quello che sei, e magari non hai ottenuto i risultati sperati?

Photo by @deerspensa_studio 

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